20 gennaio 2025
La reputazione nella moda: il tessuto invisibile delle Public Relations
Nel mondo della moda, l’apparenza non è tutto, ma è certamente quasi tutto. Qui, la reputazione di un brand non è solo un asset immateriale, ma il cuore pulsante del business, capace di attrarre milioni di consumatori o, in caso di errore, di allontanarli. Le Public Relations (PR), in questo contesto, non sono solo un megafono per amplificare i successi, ma uno strumento essenziale per affrontare le crisi. Quando un brand sbaglia, le PR sono chiamate a trasformare un potenziale disastro in una narrazione di recupero e rinascita. Eppure, come dimostrano gli scandali più clamorosi degli ultimi anni, non sempre ci riescono.
1991: Benetton e le campagne pubblicitarie shock
Negli anni ’90, Benetton fu protagonista di uno dei casi più discussi nella storia della comunicazione pubblicitaria. Con la direzione creativa di Oliviero Toscani, il brand adottò una strategia radicale: utilizzare le sue campagne non solo per vendere abbigliamento, ma per sollevare dibattiti su questioni sociali globali. Una delle immagini più controverse ritraeva un uomo malato di AIDS in punto di morte, circondato dai familiari. Questo scatto, potente e straziante, scatenò reazioni polarizzanti.
Da un lato, l’audacia del messaggio fu applaudita per aver acceso i riflettori su un tema tabù, in un momento storico in cui l’AIDS era stigmatizzato. Dall’altro, molti accusarono Benetton di sfruttare il dolore per fini commerciali. L’azienda, tuttavia, rimase ferma nella sua posizione, dichiarando che il suo obiettivo non era vendere vestiti, ma sensibilizzare. La scelta si rivelò vincente per rafforzare l’identità del brand come promotore di valori universali, dimostrando come una crisi gestita con coerenza possa trasformarsi in un’opportunità.
2014: Moncler e la denuncia sul maltrattamento animale
Uno dei primi scandali rilevanti degli ultimi anni nel settore della moda è stato quello di Moncler nel 2014. Il programma televisivo italiano Report accusò il brand di utilizzare piume ottenute attraverso il maltrattamento delle oche, mostrando immagini scioccanti che scatenarono una bufera mediatica.
La risposta di Moncler fu esemplare. Anziché negare o minimizzare, il brand optò per una strategia di trasparenza totale, dichiarando di non essere direttamente coinvolto nelle pratiche denunciate, ma impegnandosi a migliorare i controlli sulla filiera produttiva. Azioni concrete, come l’introduzione di standard etici più rigorosi, permisero a Moncler non solo di placare la crisi, ma anche di rafforzare la sua immagine come marchio responsabile e attento.
2018: Dolce & Gabbana e la crisi cinese
Nel 2018, il duo creativo Dolce & Gabbana si trovò al centro di uno dei più grandi scandali reputazionali degli ultimi anni. La loro campagna pubblicitaria pensata per il mercato cinese, in cui una modella cercava di mangiare piatti italiani con le bacchette, fu giudicata offensiva e stereotipata. A peggiorare la situazione, furono le risposte sui social di Stefano Gabbana, percepite come arroganti e poco rispettose verso la cultura cinese.
Il risultato fu devastante: un boicottaggio immediato, con sfilate annullate, influencer cinesi che interruppero ogni collaborazione e piattaforme di e-commerce che rimossero i prodotti del brand. Il video di scuse rilasciato dai due fondatori, percepito come poco sincero e teatrale, non aiutò a contenere i danni. La lezione? Nel mercato globale, le PR devono essere pronte a gestire le complessità culturali con sensibilità e umiltà.
2022: Elisabetta Franchi e il caso delle “over 40”
Nel 2022, Elisabetta Franchi scatenò un acceso dibattito con una singola dichiarazione durante un’intervista. La stilista affermò di assumere donne “over 40” per ruoli di responsabilità, poiché queste avrebbero già avuto figli e non sarebbero state “distratte” dalla maternità. La frase, giudicata sessista e discriminatoria, divenne immediatamente virale, scatenando una valanga di critiche sui social.
La gestione della crisi fu tutt’altro che efficace: le scuse tardive e poco incisive non riuscirono a spegnere il dibattito. Questo caso dimostra come le PR debbano affrontare con attenzione le crisi che toccano valori fondamentali come l’inclusività, mostrando azioni concrete e non solo dichiarazioni formali.
2022: Balenciaga e la campagna controversa
Sempre nel 2022, Balenciaga fu travolta da una crisi globale per una campagna pubblicitaria che presentava bambini insieme a oggetti dal chiaro riferimento BDSM. La scelta creativa, percepita come inappropriata e offensiva, suscitò indignazione immediata. Il pubblico accusò il brand di sfruttamento e di insensibilità, innescando un’ondata di critiche virali.
La risposta iniziale di Balenciaga fu difensiva: l’azienda cercò di addossare la colpa all’agenzia creativa che aveva realizzato la campagna. Questo approccio, però, si rivelò un boomerang, costringendo il brand a rivedere la propria strategia. Balenciaga adottò un approccio più proattivo, assumendosi la responsabilità, ritirando la campagna e promettendo una revisione interna dei processi decisionali. Sebbene l’episodio abbia lasciato una macchia sulla reputazione del brand, la trasparenza nella fase successiva ha contribuito a contenere i danni.
Le lezioni per le PR nella moda
Da questi casi emerge una lezione chiara: nella moda, le crisi non sono mai solo comunicative. Riguardano i valori, la coerenza e la capacità di rispondere ai cambiamenti culturali e sociali. Le PR, in questo contesto, non possono limitarsi a contenere i danni: devono anticipare le reazioni, costruire narrazioni autentiche e, soprattutto, dimostrare che un brand è capace di ascoltare e cambiare.
Perché, alla fine, i consumatori non comprano solo abiti o accessori. Comprano storie, valori e identità. E quando questi vengono messi in discussione, solo le PR possono rammendare il tessuto invisibile che tiene insieme la reputazione, un filo alla volta.